Il Life Cycle Costing o Analisi dei costi del ciclo di vita è una tra le metodologie di contabilità ambientale in grado di monitorare gli sforzi e i risultati delle attività aziendali da un punto di vista economico. Secondo alcune definizioni e interpretazioni si traduce nella misurazione di tutti i costi interni ed esterni al soggetto economico (l'impresa) ed associati all'intero ciclo di vita di un prodotto, processo o attività. In genere, per costi esterni si intendono quei costi che non ricadono direttamente sul soggetto economico stesso, quanto piuttosto sulla società e sull'ambiente circostante. La metodologia della LCC offre la possibilità di ampliare l'orizzonte della contabilità tradizionale, offrendo alle imprese significative possibilità di crescita culturale e sociale: la corretta integrazione degli oneri ambientali nel quadro degli altri oneri economici di un prodotto e/o processo costituisce una tappa obbligata per le imprese che vogliano mantenersi competitive sul mercato globale.
La classificazione dei costi
La Life Cycle Costing, proponendosi come metodologia di indagine economico-ambientale, mira all'identificazione e quantificazione di tutti i costi economici associati all'interno ciclo di vita del processo o attività, includendo inoltre anche quelli dovuti all'impatto ambientale dello stesso ciclo esaminato. La scelta di una chiara e corretta terminologia nell'ambito della LCC è essenziale per gli obiettivi di miglioramento delle performance ambientali a cui sono interessati diversi soggetti esterni (fornitori, clienti, azionisti, Pubblica Amministrazione, etc..) intesi come stakeholders. Alcuni concetti del metodo possono essere meglio compresi tramite un'illustrazione dell'Agenzia Statunitense per la Protezione dell'ambiente (EPA - Environmental Protection Agency) con lo scopo di fornire una classificazione approssimata di tutti i costi inerenti il rapporto tra l'impresa e l'ambiente e di cui vi riporto una rielaborazione di seguito.

Nella categoria C rientrano tutti quei costi che sono tradizionalmente individuati e misurati nell'ambito del sistema impresa dalla contabilità analitica, finalizzata al controllo di gestione, e dalla contabilità generale, finalizzata alla formazione del bilancio civilistico inteso come documento di rendicontazione economico-finanziaria. La categoria B può essere definita come il dominio di tutti i costi interni all'impresa, includendo quindi anche quelli nascosti e meno tangibili, che, essendo meno facilmente misurabili e quantificabili, sono difficilmente individuabili in contabilità generale.
Tali costi possono essere nascosti in voci di spesa non sono specificatamente riconducibili agli aspetti ambientali, oppure possono derivare da situazioni che si possono potenzialmente manifestare. Tra i costi potenzialmente nascosti si possono annoverare quelli di preparazione all'attività produttiva (valutazioni di impatto ambientale, permessi, etc..), costi necessari per adeguarsi alla legislazione vigente (assicurazioni, controllo emissioni, etc..), costi di natura volontaria ( audit ambientali, reporting, etc..) o a perdite di produttività collegate a rischi sul luogo di lavoro (gravi incidenti, danni all'immagine, etc..). La somma di B e C origina i costi totali di impresa. I costi totali possono quindi essere definiti come tutti quei costi per i quali un'impresa è responsabile in uno specifico periodo di tempo e alla luce delle condizioni di regolamentazione prevalenti o prevedibili di mercato (Bartolomeo, 1997 - La contabilità ambientale di impresa).
Nella zona A rientrano infine tutti quei costi esterni che il meccanismo dei prezzi e le regole del mercato non riescono ad attribuire all'impresa. Gli impatti ambientali, talora abbinati ad altri effetti negativi nella sfera sociale (disoccupazione, etc..), rientrano per eccellenza in questa categoria che viene definita delle “esternalità negative”.
Prossima lezione : La valutazione delle esternalità